Fiumicino: ingannare l’attesa al Duty Free

Fiumicino: ingannare l’attesa al Duty Free
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Al Terminal 1 dell’aeroporto di Fiumicino, l’attesa al gate diventa un aperitivo virtuale!

Hai mai pensato che un’attesa in aeroporto possa trasformarsi in una chiacchierata tra amici su rum e gorgonzola? È successo a me, proprio al Terminal 1 di Fiumicino, mentre fissavo lo schermo dei gate come se fosse un oracolo capriccioso. Invece di rodermi, ho virato verso il Duty Free, quel labirinto di tentazioni scintillanti che ti accoglie dopo i controlli di sicurezza.

E lì, tra bottiglie di liquori che sembrano trofei da pirata, ho scoperto un mondo che fa sembrare l’attesa all’aeroporto di Fiumicino un optional.

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L’area dedicata a vini, distillati e liquori è un paradiso per gli occhi e il palato: scaffali carichi di etichette esclusive che non vedi nemmeno nei negozi più forniti. Brand rari, bottiglie che sussurrano storie di mari lontani e notti brave.

Ma il vero colpo di scena? Il team tra i banchi espositivi: Alessandro, il responsabile dal sorriso contagioso, e i suoi assistenti, veri sommelier in camice da aeroporto. Giovani, preparatissimi, con quella passione che ti fa dimenticare di essere in attesa del volo.

Mi hanno accolto come se fossi l’ospite d’onore a una degustazione privata. “Cosa la porta qui a Fiumicino? Un volo per Tokyo o solo per un sorso di storia?”, mi ha chiesto Alessandro, porgendomi un calice invisibile.

E da lì, è partita una lezione improvvisata su abbinamenti che sfidano la logica: immaginate un gorgonzola cremoso con un rum invecchiato, dove il piccante del formaggio duetta con le note dolci e speziate del distillato. “Non è per tutti”, ammette ridendo Giulio, “ma una volta provato, non torni indietro”.

O il Tommy’s Margarita, quel capolavoro messicano con un unico blocco di ghiaccio al centro del bicchiere, che tiene fresco il tutto senza diluirlo – un trucco da barman che ti fa sentire un po’ Indiana Jones con il margarita in mano.

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Ma i ragazzi non si limitano a vendere: raccontano. Tipo la loro variante ribelle del Whiskey Sour, dove la tequila (o meglio, il mezcal) sostituisce il whiskey. Risultato? Un’esplosione asprigna di limone, sciroppo e note affumicate che ti trasporta dritto a Oaxaca. E sul mezcal con il “verme” – quel gusano, larva di falena dell’agave introdotta negli anni ’40 come gimmick turistico per distinguere le bottiglie – Alessandro confessa: “Ci sfidiamo a berlo così, per ridere. Non è afrodisiaco come dicono, ma fa conversazione”. Un sorso e capisci: è più teatro che terrore, con quel retrogusto terroso che ti lascia un ghigno complice.

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Poi, il confronto che mi ha quasi convinto a tradire il mio Negroni: il Boulevardier. “È il cugino francese del Negroni, nato alla fine dell’800 a Parigi e esploso in America durante il Proibizionismo”, spiega Alessandro, versando un campione immaginario. Stesse parti uguali di bitter Campari e vermut rosso, ma con bourbon al posto del gin. Differenza? Il gin dà al Negroni quella freschezza erbacea e secca, quasi un morso di pino; il bourbon nel Boulevardier ammorbidisce tutto con vaniglia e caramello, rendendolo più avvolgente, meno aggressivo. Servito in un Old Fashioned colmo di ghiaccio, o straight up per i puristi, con una scorza d’arancia appena spremuta che solletica l’olfatto.

Provalo al posto del Negroni: è come passare da un’amica puntuale a una che arriva con i regali!

Ok, mi avete convinta – prossimo aperitivo, cambio rotta!

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E i whisky? Un capitolo a parte. Giulio mi ha stregato con l’Old Pulteney, single malt scozzese nato nel 1826 a Wick, nel nord della Scozia. La storia è da film: durante il Proibizionismo locale – sì, la Scozia ebbe il suo, almeno a Wick, dal 1920 al 1947, più lungo di quello americano – la distilleria rimase chiusa per 25 anni. Per eludere i controlli, si dice che le botti venissero caricate su barche al largo, cullate dalle onde.

Quel movimento costante, unito all’aria salmastra, infuse al whisky note di brezza marina e sale – una tradizione che continuano ancora oggi, maturando botti vicino al mare. Risultato: un sorso che sa di tempesta atlantica, con miele, vaniglia e quel pizzico di iodio che ti fa venire voglia di una passeggiata sulla spiaggia, anche se sei a Fiumicino.

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Aeroporto di Fiumicino

Poi, i giapponesi: The Chita, single grain di Suntory, liscio come seta con sentori di miele e spezie delicate, perfetto per chi entra nel mondo del whisky senza traumi. E il Nikka Coffey Grain, da abbinare alla Fever-Tree Ginger Ale – quella ginger ale premium con tre varietà di zenzero (indiano, nigeriano e ivoriano) per un fizz naturale e non stucchevole. Mescola 50 ml di Nikka con 100 ml di ginger, ghiaccio e un twist di limone: esce un highball frizzante, dolce-speziato, che ti scalda senza appesantire.

Ideale per un volo lungo”, giura Alessandro, “ti fa atterrare con il sorriso

Il suo preferito? Talisker Dark Storm, un’islay bomb dal cuore fumoso. Affinato in botti american oak pesantemente tostate, è più ricco e dolce del classico Talisker Storm: note di pepe nero, brezza salina, liquirizia e un fumo fenolico che evoca falò sulla spiaggia di Skye. “Mi piace perché è come una tempesta in bottiglia: potente ma equilibrato, con quel retrogusto di vaniglia che ti coccola dopo il pugno”. Se ami i sapori intensi, ti conquisterà – promettono.

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E i gin? Un universo da esplorare, con bottiglie che sembrano opere d’arte. E non è solo vetrina: proprio qui, al Duty Free del T1 di Fiumicino, organizzano degustazioni gratuite in fasce orarie dedicate – mi è già capitato in passato di assaggiare prodotti che raramente assaggi altrove.

Mi hanno anticipato la prossima: Silent Pool, un English dry con 24 botaniche tra cui camomilla, lavanda, fiore d’arancio, miele locale del Surrey, note fresche di agrumi e kaffir lime e spezie leggere, in una bottiglia turchese con motivi floreali bronzo e foglie – un gioiello ispirato a uno stagno leggendario.

Non vedo l’ora di assaggiarlo: mi incuriosisce sia per le note delicate e complesse, sia per quella bottiglia elegante, originalissima, che sembra un pezzo da collezione.

“Assaggialo con un twist d’arancia: è poesia in un sorso”

Non dimentichiamo i vini e le bollicine: champagne che frizzano come promesse di vacanza, rossi robusti per chi sogna una cena infinita.

Ma il clou è il servizio: questi professionisti non ti rifilano merce, ti regalano aneddoti e consigli personalizzati, come se il Duty Free di Fiumicino fosse il loro salotto. In un posto dove il tempo si allunga come un elastico, loro lo accorciano con grazia e competenza.

Quindi, prossima attesa al gate? Lascia lo smartphone e vira al Duty Free. Potresti uscirne con una bottiglia nuova e una storia da raccontare. E chissà, magari Alessandro e Giulio saranno lì a darti il benvenuto.

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Aeroporto di Fiumicino

“Gate 22? Perfetto, assaggi questo prima!”

Vissuto tra gate e bicchieri immaginari, scritto con un sorso di ispirazione. Perché viaggiare è anche, e soprattutto, assaggiare il mondo, un’attesa alla volta.

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Redazione

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